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Castello San Giorgio di Lerici

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ITINERARIO TURISTICO

Il Castello San Giorgio si erge, in posizione dominante, sulla sommità del promontorio roccioso che chiude a sud la baia di Lerici.
L’edificio attuale, di forma poligonale irregolare, è frutto di numerosi interventi che, susseguitesi nel corso dei secoli, hanno inglobato il nucleo più antico, edificato dai Pisani dopo la battaglia del Giglio (1241), ancora oggi perfettamente riconoscibile nel corpo rettangolare del piano intermedio, costituito da tre piccole celle e dalla cappella di Santa Anastasia.

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La riconquista di Lerici (1256) e la pesante sconfitta subita da Pisa nella battaglia della Meloria (1284), sancirono la definitiva supremazia di Genova sul Mediterraneo Occidentale: le sorti del Castello, da allora, seguirono la storia della Superba, caratterizzata da un’estrema instabilità politica, con violente lotte interne e l’ingerenza di potenze straniere (Visconti, Francesi, Fiorentini, Aragonesi, Sforza, ecc.), fino al passaggio sotto il potente Officio di San Giorgio, nella seconda metà del Quattrocento.

Durante questi secoli di alterne vicende, l’edificio ha mantenuto funzioni militari ed è stato adibito a carcere, presidiato da un castellano e da guarnigioni di soldati. In relazione alle sue funzioni e all’importanza strategica di fortezza ubicata al confine orientale del territorio genovese, il Castello di Lerici è stato più volte rinforzato ed elevato, fino all’ultima “incamiciatura” risalente al 1555: la “scarpa” inclinata, adatta a resistere agli attacchi delle armi da fuoco, in alcuni punti, supera lo spessore di sei metri.

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Piazza San Giorgio: il castello dall’esterno

Come il resto dell’edificio, anche l’entrata del Castello ha subito sostanziali modifiche nel corso dei secoli. Oggi un cancello segna l’inizio di una rampa d’accesso che poggia su massicce arcate, ben visibili dal lungomare di Lerici. L’odierna porta di ingresso si trova lato mare, al termine della rampa. In epoca medievale, invece, l’ingresso del Castello era collocato in corrispondenza di Piazza San Giorgio. Oggi nessun ingresso è visibile da questo lato, forse perché nascosto dall’imponente incamiciatura cinquecentesca. Tuttavia, alzando gli occhi, sulla parete verticale che si trova proprio davanti all’ascensore, noterete una piccola porticina murata, traccia di un’antica “postierla”, ovvero un ingresso secondario pedonale, raggiungibile grazie a marchingegni in legno.

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Prima di superare il cancello di ingresso, vi invitiamo ad osservare ancora le diverse tipologie di muratura, testimonianza delle differenti fasi costruttive che hanno interessato l’edificio e, in particolar modo:

  • la distinzione fra i muri verticali, più antichi rispetto all’incamiciatura obliqua
  • le buche pontaie quadrate, collocate a distanza regolare nell’alzato della torre
  • le feritoie verticali in parte visibili, in parte nascoste dalla “scarpa” cinquecentesca
  • gli archetti in laterizio, più recenti rispetto a quelli in pietra che decorano la sommità della torre
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L'ingresso del castello

Ai lati dell’odierno portale di accesso, sono ancora visibili, esternamente, le scanalature per lo scorrimento dei congegni di un ponte levatoio. Sopra la porta, un’iscrizione in latino ricorda gli interventi di rinforzo che il castello subì nel XVI secolo: “Durante la guerra di Corsica e volgendo il terzo anno ch’eransi unite assieme le armate francese, turca ed africana, Leonardo Spinola, Giacomo Cibo, Melchiorre Doria, Antonio Fornari, Gio Battista Usodimare, Niccolò Lomellini, Gio Battista Lercari, Luca Grimaldi, ottoviri incaricati di munire i castelli di tutta la giurisdizione di San Giorgio, ampliarono e munirono la fortezza di Lerici (lett. ericinam) l’anno 1555, essendo deputato a questa fabbrica Giovanni Fieschi Moruffo”.

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Passato l’ingresso, vi invitiamo a proseguire oltre il piccolo arco preceduto da due scalini, che si trova di fronte a voi per accedere alla corte interna. Si noti, sopra l’arco, il bassorilievo raffigurante San Giorgio che trafigge il drago, sopra un’iscrizione latina che recita: “Infestando i Turchi e i Francesi il litorale della Repubblica di Genova, il magnifico Giovanni Fieschi Moruffo fece munire questa fortezza col denaro del Banco di San Giorgio. Anno 1555

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Il cortile interno

Ci troviamo all’interno di uno spazio che, un tempo, costituiva il fossato secco del castello e che oggi, soppalcato e coperto da una vetrata, è adibito a sala espositiva. La parete esterna, alla vostra sinistra, presenta 12 aperture collocate su due ordini sovrapposti, che l’incamiciatura cinquecentesca ha chiuso e reso cieche. Utilizzando la scala collocata in fondo al cortile, si sale sul soppalco. Qui soffermiamoci ad osservare la parete interna, caratterizzata da una muratura medievale di pregevole fattura, su cui si aprono strette feritoie verticali. Attraversando un monumentale e pregevole arco a sesto acuto, si rientra ora nel corpo principale dell’edificio e, salendo le scale sulla sinistra, si raggiunge il piano intermedio.
Curiosità: ai piedi del muro interno sono tuttora visibili le rocce del promontorio su cui è stato edificato il castello. Scolpita nella roccia, è ancora ben visibile una porzione di scalinata, che, partendo dal piano del fossato, conduceva all’interno dell’edificio.

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Il salone voltato e le cellette

Entriamo ora nell’ampio salone voltato alla nostra sinistra, su cui si aprono 3 piccole celle. In due di esse sono presenti pozzi e, nell’ultima, la più interna, anche una sorta di camino/sfiatatoio collegato alla terrazza superiore. Non si conosce precisamente la funzione di queste stanze che, come la Cappella, risalgono alla prima fase costruttiva del castello (XIII secolo).

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C’è chi ne ipotizza un utilizzo come cucine, pur essendo stanze piuttosto buie, oppure come celle di reclusione. Il Castello di Lerici, infatti, fu utilizzato come carcere, ospitando illustri prigionieri: esponenti politici, soprattutto ribelli corsi, ma anche aristocratici avversari di Genova, ostaggi di guerra, ex dogi e, per qualche giorno, persino il Re di Francia Francesco I, catturato dopo la battaglia di Pavia (1525). Curiosità: nella corrispondenza fra l’Officio di San Giorgio e i castellani di Lerici, non mancano riferimenti a torture, esecuzioni capitali e particolari accorgimenti nel trattamento di prigionieri illustri. Per esempio, relativamente al prigioniero corso Ranuccio De Leca, l’Officio scriveva nel 1490 “…havemo come sapeti incarcerato in lo castello de Illice lo tradictore Ranucio de Lecha, a lo quale per punicione de li soi grandi demeriti havemo deliberato sia levata la vita, tamen in la carcere, aut in altro loco de castello dove ve parerà, facendollo prima confessare et comunicare, come si conviene fare in simile caxo a uno christiano”. (Fonte F.Poggi, Lerici e il suo Castello, vol. III). Si tratta dell’ordine impartito per una vera e propria condanna a morte.

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La cappella di Santa Anastasia

Insieme alle tre cellette che si aprono sul salone voltato, la piccola cappella castrense di Santa Anastasia costituisce il nucleo centrale e più antico del castello. Autentico gioiello medievale, è giunta a noi praticamente intatta dal XIII secolo. Presenta una tipica decorazione bicroma caratteristica dello stile pisano-genovese, ottenuta dall’alternanza di pietra nera e marmo bianco.

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Come ricorda una lapide posta sul portale di ingresso, i Genovesi riconquistarono l’edificio nel 1256 e ne rinforzarono il sistema difensivo. Quindi completarono la cappella, realizzando l’apparato decorativo costituito dalle tre rappresentazioni poste all’incrocio delle volte a crociera: alzando gli occhi, nel vestibolo, potete notare il tradizionale San Giorgio che sconfigge il drago, nelle due campate interne un agnello vessillifero e un agnello crucifero. All’interno della cappella, soffermiamoci sul primo bassorilievo, raffigurante l’agnello che reca il vessillo crociato di Genova. Esso è circondato dall’iscrizione PLEBS IANI MAGNOS REPRIMENS EST AGNUS IN AGNOS, la cui interpretazione è la seguente: il popolo di Genova sconfiggendo i potenti è agnello fra gli agnelli. Non si tratta di una frase banale, bensì, diremmo oggi, del vero e proprio “slogan” di una importante rivoluzione contro la nobiltà (anno 1257) guidata da Guglielmo Boccanegra, considerato primo capitano del popolo di Genova, antenato del più celebre Simon Boccanegra.

Curiosità: nell’iscrizione posta sull’architrave di ingresso della cappella è il castello stesso a rivolgersi in prima persona al visitatore, raccontandoci della riconquista genovese. Mentre i primi 3 versi sono abbastanza chiari, gli ultimi sono poetici e controversi, suonando quasi come un anatema contro chi, a suo tempo, non ebbe rispetto dell’edificio.
Riportiamo di seguito la traduzione che ne dà il Falconi (in Iscrizioni nel Golfo della Spezia), una delle più accreditate e poetiche, seppur non letterale:

L’anno milledugentocinquantasei / Genova (Ianua ben leggibile all’inizio del secondo verso), combattendo mi ritolse. / Cinse poscia di muri i fianchi miei / ché i suoi diritti a tutelar si volse. Stia senza me chi l’armi ognor non resse / e mi pianga chi m’ebbe e mi neglesse /.

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Le cucine del castello

A destra della Cappella, troviamo i locali del cosiddetto “sperone”, un avamposto di forma poligonale che si protende verso il mare e che, pur essendo successivo rispetto al corpo centrale duecentesco, è da ritenersi comunque antecedente ai lavori di rinforzo del 1555. Qui si trovavano le aree adibite a cucina.

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Testimonianza ne è un pozzo cisterna, contenuto nella prima stanza, e un forno, con volta a cupola realizzata in mattoni (non ancora visibile, trovandosi in area non ancora aperta al pubblico). E’ plausibile che questi ambienti, attualmente visitabili solo in parte, siano stati allestiti allorquando il castello cominciò ad essere utilizzato come carcere. A questo punto l’approvvigionamento del cibo doveva essere più sistematico ed organizzato, vista la presenza di diversi “abitanti”: castellano, soldati e prigionieri.

Curiosità: nelle note spese contenute nei registri Magistrorum Rationalium Comunis Ianue – anni 1339-1340 – si trova il riferimento a fondi erogati per diversi interventi strutturali che hanno interessato il Castello di Lerici. Fra questi, la costruzione e il disfacimento di un trabucco, la fabbricazione di un ponte, la riparazione di una bertesca… e anche la realizzazione di due cucine. Risale, invece, al 1507 un ordine di grandi mattoni, specifici la pavimentazione di forni, i cosiddetti embrexi (Fonte: F. Poggi, Lerici e il suo Castello – vol. I).

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La terrazza panoramica

alendo le scale, si raggiunge la sala conferenze, quindi, attraverso un’uscita “a barbacane”, la splendida terrazza affacciata sul Golfo dei Poeti. Con una vista che spazia quasi a 360°, partendo da destra, è possibile ammirare il centro storico di Lerici, il lungomare fino a San Terenzo, dominato dai borghi di Solaro e Pugliola e da Villa Marigola.

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Dopo la punta di Santa Teresa, troviamo il Golfo della Spezia, quindi il seno del Varignano, Portovenere e le isole Palmaria e Tino. Si torna quindi sul litorale di Lerici, per ammirare, dietro il Castello, il promontorio di Maralunga e le spiaggette di San Giorgio. Sul piazzale si possono osservare diverse bertesche sporgenti, nonché i locali, risalenti anch’essi al 500, destinati all’abitazione del comandante della guarnigione.

Curiosità: nel secondo dopoguerra, il Castello di Lerici fu utilizzato come ostello: l’odierna sala conferenze era destinata a dormitorio. Risale a questo periodo la figura ormai leggendaria della “custode” Madì, al secolo Maddalena Di Carlo, amata dai ‘vagabondi’ ma anche da importanti artisti e scrittori degli anni ’60. Governò l’ostello per trent’anni, dal 1947 al ’68: scrissero di lei letterati importanti come Eliot, Hemingway, Soldati.

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La torre

La torre è l’elemento più caratterizzante del Castello di Lerici: domina il borgo da tempi immemorabili. Francesco Petrarca la descrisse come la “snella torre del castello di Lerici”, mentre oggi, come possiamo vedere, è inglobata quasi integralmente nell’alzato dell’edificio.

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Viene descritta a questo punto del percorso proprio perché da qui e, ancor meglio dal terrazzino che si eleva alla sua destra, possiamo apprezzarne al meglio l’alzato e la raffinata decorazione della parte sommitale. L’apparato decorativo, è caratterizzato dall’uso della consueta “bicromia”, ottenuta dall’alternanza di pietra grigia e marmo bianco di Carrara: sopra le fasce alternate, troviamo quattro ordini di archetti pensili a sesto acuto, che sporgono progressivamente rispetto a quelli sottostanti.

Curiosità: la torre che vediamo oggi, di forma pentagonale, ne ingloba un’altra, più antica, di probabile origine pisana. Un’ampia intercapedine, talora di oltre 2 metri, separa la torre esterna da quella interna: le aree del castello dove è possibile vedere entrambe le costruzioni, purtroppo, non sono accessibili al pubblico. Tuttavia, osservando la torre dalla terrazza panoramica, è possibile notare, sulla sinistra rispetto alla monofora con arco a conci bianchi/neri, una differenza nella tessitura muraria e nel colore delle pietre, a testimonianza di due distinte fasi di costruzione.

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Ultime 3 curiosità
prima di lasciare il Castello di Lerici:

Andrea Doria

Fra le mura del Castello di Lerici, nel 1528, il grande ammiraglio e condottiero Andrea Doria fece la scelta che avrebbe cambiato per sempre la sua vita e il destino di Genova: sciolse l’alleanza con Francesco I di Francia per passare al nemico, Carlo V di Spagna. Liberata quindi Genova dal dominio francese, fu accolto in patria come un eroe, fondando, di fatto, la Repubblica Oligarchica genovese.

Il Castello parlante

Come avrete notato, il Castello di Lerici è ricco di iscrizioni in latino che segnano alcuni importanti episodi della sua storia. Le cronache tramandano di un’altra curiosa iscrizione, medievale, oggi scomparsa, che i Pisani avrebbero collocato in prossimità dell’ingresso del borgo murato, costruito di rimpetto all’entrata del Castello di Lerici. L’iscrizione era un ironico motto contro i nemici di Pisa e doveva suonare più o meno così: Stopa boca al zenoese, crepacor a lo portovenerese, strepa borsello a lo lucchese (Fonte: F. Poggi, Lerici e il suo castello – vol. I).

Santa Anastasia

La Cappella castrense è dedicata a Santa Anastasia. Diverse sono le ipotesi per questa intitolazione. Martire romana, secondo alcune fonti fu arsa viva all’epoca di Diocleziano sull’Isola Palmaria, che si trova proprio di fronte a Lerici. Ma Anastasia è anche patrona di Piombino, e pertanto è una figura strettamente legata all’ambiente toscano. E’ probabile, quindi, che l’intitolazione della cappella a Santa Anastasia si possa attribuire alla fase pisana.